6.6.08

Radici

Il quartiere.
Com’è bello!
E’ con una punta d’orgoglio che lo guardo ogni mattina.
Perché il quartiere è mio amico.
Ogni mattina mi aspetta.
Ogni mattina mi sveglio, apro la finestra e lo vedo.
Lo ammiro.
Perché lui è sempre lì.
In attesa del suo migliore compagno di merende.
E non voglio farlo aspettare più di tanto.
Non mi sento affatto una primadonna, con tutte le sue pretese e i suoi capricci, perché so che il mondo va benissimo avanti anche senza di me.
Sì, il mondo forse, ma non il quartiere.
Lui è il mondo e, tra l’altro, so che lui ha bisogno di me, così come io ho bisogno di lui.
Guardo sotto al letto e prendo il mio giocattolino preferito.
La vecchia mazza da baseball che usavo da ragazzino nelle partitelle tra amici.
Per molti è solo un vecchio (e mezzo marcio) pezzo di legno, ma per me è ben altro.
E’ la mia arma, oltre che la mia ombra.
Lei non mi tradirà mai, non mi colpirà mai alle spalle, perché sono io che ne controllo i movimenti.
E poi mi fornisce il rispetto necessario ad andare avanti in questa merda.
Esco dalla porta di casa fischiettando e, ora che me ne rendo conto, anche con un sorriso ebete stampato in faccia.
Ma fa nulla, perché bisogna sempre farsi benvolere dal quartiere.
Per certi versi sono la sua puttana, anche se il termine non mi garba più di tanto.
E comunque, nel caso, sarei la sua puttana preferita!
Ma sento di essere più di questo.
C’è qualcosa che ci lega, e non è il semplice fatto di esserci nato e di non esserne mai uscito.
Praticamente sono qui da tutta la mia vita, ma non importa. Meglio così.
Almeno qui ho qualcosa da fare e sono felice. E quello che faccio è importante.
Il quartiere è il mandante e io sono il suo esecutore.
Lavoriamo in sincronia.
E nessuno potrebbe prendere il posto dell’altro.

Per questo andiamo così d’accordo.
E nessuno potrebbe fare a meno dell’altro.
Inoltre il lavoro non manca mai.
E stamattina inizia anche prima del solito.
C’è uno di quei maledetti writer che mi danno parecchio da fare.
Avrà all’incirca una quindicina d’anni e sta già lì, con le sue cazzo di bombolette, a violentare i muri del quartiere con i suoi disegnini osceni.
Smetto di fischiettare e vado alle sue spalle senza che se ne accorga, cosa facile dato che è tutto preso dalle sue stronzate e sulle orecchie ha delle cuffie più grandi della sua testa.
Noto che mi è anche sparito il sorriso ebete.
Adesso è un momento serio.
Resto immobile dietro di lui e guardo un po’ quello che fa.
Che schifo!
Segnacci colorati sul muro, senza alcun significato. E pensare che c’è chi la considera arte.
Ma fanculo!
Alzo la mazza da baseball verso il cielo.
E poi la calo giù, mentre sibila a contatto con l’aria.
Quello che segue è paragonabile ad un’esplosione.
Un’esplosione di dolore che colpisce il ragazzino poco sopra il culo.
L’artista finisce prima contro il muretto e poi va a terra.
E ci rimane.
Alza la testa, mentre trattiene a stento le lacrime per il dolore, e mi guarda con aria di sfida.


Non credo ti convenga, ragazzino.
Non puoi volerlo veramente, e non puoi minimamente pensare di sfidarmi.
Tantomeno di battermi.
Non ancora.
Sono il tuo braciere, piccolino.
E ti consiglio di non avvicinarti troppo, sennò ti scotti sul serio.

Lo schizzetto si rialza lentamente appoggiandosi al muro.
Mi guarda ancora. Stavolta pare solo spaventato.
Continua a fissarmi per un po’, poi si allontana camminando più veloce che può.
Credimi, vorrei poterti dire che fa più male a me che a te, ma mentirei.
E poi l’ho fatto per te.
Devi capire che il dolore è necessario a farti crescere.
E oggi sei diventato più grande.
Dobbiamo fare tutto per il quartiere, perché noi un giorno moriremo, ma lui continuerà a vivere, almeno finchè ci sarà gente come me.
Ma io non sono come il quartiere, un giorno io non ci sarò più e servirà qualcuno che prenderà il mio posto.
E tutto sommato non mi dispiacerebbe che fossi tu a farlo.
Tanto la lezione di oggi l’hai capita, no?!
Ricomincio a fischiettare e mi incammino verso il pub più vicino, che ho proprio voglia di una birretta ghiacciata.
Ops, mi accorgo ora che m’è ritornato il sorrisetto ebete.


E domani?
Succederanno le stesse cose.
Perché il quartiere sarà sempre lì ad aspettarmi.

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